Non è notizia di oggi che Rocco Hunt sia diventato anche scrittore. Il Poeta Urbano dopo la vittoria di Sanremo Giovani grazie al suo brano “Nu juorno buono” dedicato alla Terra dei fuochi e il grande successo del suo album “A verità” ha deciso di utilizzare la penna non solo per scrivere versi, ma per pubblicare il suo primo libro. E così lo scorso dicembre è uscito “Il sole tra i palazzi”, un racconto dai risvolti autobiografici ma che partendo dall’esperienza personale ha come scopo fondamentale quello di narrare la città natale dell’autore, Salerno, e i disagi che i ragazzi come lui si trovano ad affrontare quotidianamente. La settimana prossima invece sarà disponibile su Youtube il singolo “Il sole tra i palazzi”, sempre ispirato al libro e interamente girato nei campetti dei salesiani di Salerno. Rocco da rapper a scrittore si racconta per noi in attesa che il suo ultimo disco uscito esattamente il 25 marzo dell’anno scorso da d’oro diventi di platino. Mancano solo 900 copie per raggiungere il traguardo.
Rocco perché “Il sole tra i palazzi” e come mai hai deciso di scriverlo?
“Il sole tra i palazzi” è un libro autobiografico ma a stampo giornalistico, tanto è che al suo interno ci sono degli studi e delle inserzioni del giornalista partenopeo Federico Vacalebre. Le sue pagine parlano del cambiamento della mia vita, ma ho deciso di scriverlo soprattutto perché volevo essere la voce di tutti i ragazzi che come me vengono dalla periferia e vedono il sole di striscio attraverso orrendi palazzoni. Volevo descrivere e far conoscere quei contesti in cui è più facile accorgersi del grigiore piuttosto che lasciarsi incantare da un raggio di sole o da un po’ di colore. Anche perché spesso da noi i giovani, a causa delle difficoltà giornaliere, tendono a camminare a testa bassa e neanche rivolgono lo sguardo al cielo. Attraverso la mia esperienza volevo che i miei coetanei lo leggessero, si rispecchiassero in me e di conseguenza fossero spronati a sorridere e a fare qualcosa per riscattare il territorio. E ad alzare la testa.
In che modo è possibile far si che questo raggio di sole possa prevalere su tutto il grigiore e i problemi dei ragazzi del Sud?
Sicuramente attraverso le eccellenze e i talenti del Sud che fortunatamente sono ancora numerosi nonostante la situazione sia molto più drammatica rispetto ad altre zone di Italia. Dobbiamo puntare sull’impegno delle nuove generazioni per la rivalutazione del territorio.
L’impegno sul territorio dovrebbe essere la prerogativa anche di un rapper. Tu ad esempio hai vinto Sanremo giovani con un brano che parla della Terra dei fuochi. Perché è importante parlarne?
Ritengo che sia utile e importantissimo parlarne ma che non tutti possano farlo. Infatti non tutti hanno l’attendibilità e l’approccio giusto per potersi avvicinare a certe questioni. Sicuramente l’hip hop è un genere musicale che viene dalla denuncia dal basso e credo che ogni rapper del Sud dovrebbe utilizzare il rap come rivalsa sociale per poter essere credibile. Solo chi viene dalle nostre periferie può affrontare determinate tematiche: non chi si spaccia di essere di strada, ma non sa nemmeno cosa questa sia. Non a caso il mio gesto di portare a Sanremo un testo che raccontasse la vicenda della Terra dei fuochi è stato dettato da un bisogno esistenziale. Qui abbiamo il mare, il sole, il caffè ma abbiamo un territorio devastato dove tra l’altro mancano le industrie e non si crea economia.
Questa disparità tra le due parti del Paese è sottolineata anche nella title-track “A verità”. Che verità vuoi svelare tra le righe e in quanti pensi l’abbiano recepita?
‘A verità è un altro testo di denuncia in cui difendo il Sud. Attacco le istituzioni per quanto riguarda l’istruzione, le “scuole fracide”, le strutture, i trasporti, le industrie, l’immondizia nel Meridione. Nonostante tutto, però, non potranno mai toglierci l’arte. Lo Stato quaggiù ci ha abbandonato e per questo aggiungo: “Pe’ mme n’esiste Italia fino a quando esiste ‘a Padania, nun è ca so razzista so mill’anne ca so schiavo, a gente nun c’a fa cchiù a piglià solo batoste, ‘A colpa è a vosta: nun credimmo dint’a bandiera verde bianca e rossa!“. Nel ritornello cantato dal maestro Avitabile poi viene accusato l’uomo in generale che sta distruggendo la natura, sta abbattendo il polmone verde della Terra, gli alberi, per creare i fogli di carta sui quali poi i vincitori scriveranno la storia a modo loro.
Fin da quando eri solo un ragazzino hai cercato di dire la verità scrivendo anche brani anti-sistemici come “L’occhio del massone”. Il Rocco di oggi continuerà a dire la sua senza censure e condizionamenti?
Quello che ero mi ha portato ad essere ciò che sono oggi e lo porterò sempre con me. Ovviamente sono cresciuto e ho voglia di sperimentare e di affrontare temi nuovi, ma resto sempre lo stesso. L’unico cambiamento è dovuto alla mia maturità personale ed artistica avvenuta soprattutto grazie agli insegnamenti dei miei maestri tra cui in primis annovero Pino Daniele. L’hip-hop non è solo scrivere versi anti-sistemici e rappare, ma è una cultura da diffondere. Personalmente ho portato il mio rap nelle carceri piuttosto che nei reparti oncologici degli ospedali. Dunque abbiamo divulgato questa musica a una fascia di utenti che ascoltava tutt’altro o addirittura proprio niente. A prescindere dal disco d’oro che attendiamo diventi di platino, per me è questo il vero compito di un Mc”.
Eugenia Conti