Vi ricordate La Famiglia? Quelli di “Mazz ‘e panella fanno ‘e figli belli, panella senza mazz’ fanno ‘e figl’ pazz”, ovvero i primi a lanciare il rap a Napoli insieme ai 13 bastardi e a Speaker Cenzou? Parliamo della prima generazione, della “Golden Age” partenopea senza la quale oggi non sarebbe mai potuta esistere questa diffusione virale del genere. E tra i componenti della vecchia crew, spiccava tra i vari nomi, quello del rapper Paura.
Francesco “Paura” Curci, alias il king o Mister Curci, come lo chiamano i suoi colleghi, è stato un grande maestro per moltissimi della scena attuale.
Dalla carriera in gruppo, è passato a quella solista, senza mai perdere la sua tecnica raffinata. La sua passione per la cucina e la sua abilità ai fornelli, che poi l’hanno portato a scrivere SlowFood, suo ultimo progetto musicale.
Come nasce l’idea di SlowFood?
SlowFood nasce innanzitutto dall’idea di fare un parallelo tra la buona musica e la buona cucina. La mia critica a molti dei prodotti musicali degli ultimi tempi é che quest’ultimi sono diventati quasi “usa e getta”. Quando abbiamo iniziato noi essere veloci significava sfornare un album ogni due o tre anni, oggi i nuovi rapper ne pubblicano uno all’anno. Ciò significa andare contro alla qualità, curando di meno dettagli e particolari a causa della fretta. Invece, il lavoro di un’artista deve essere di continuo labor limae. Nella musica ci vuole la stessa pazienza e dedizione che si mette in cucina per la creazione di qualcosa. Così come a tavola, è meglio stare seduti mezz’ora in più a godersi maggiormente il cibo, piuttosto che cadere nella trappola della globalizzazione alienante sotto forma di fast-food. Il messaggio dell’album è di ritornare un po’ alle tradizioni, ma senza negare sound all’avanguardia e uno sguardo al futuro. Una filosofia slow, insomma, ma che trovi la giusta alchimia tra gli ingredienti. Una filosofia slow tipica di un’artista Old School.
Ritieni che anche l’attuale New generation campana sia stata in grado di trovare la giusta alchimia tra gli ingredienti?
Questa è la terza ondata di rap a cui assisto in prima ed in terza persona. La prima é quella che ovviamente mi ha influenzato maggiormente: il periodo delle Posse. L’ultima ondata forse qualitativamente parlando è la peggiore perché l’hip hop è diventato troppo popolare, nell’accezione negativa del termine. Sono favorevole a portare la musica a quanti più ascoltatori possibili, ma facendo adattare i gusti delle persone alla nostra cultura e non il contrario. Specie se si tradisce l’essenza del genere esclusivamente a fini di vendita. Detto questo, ho comunque influenzato, contaminato tanti ragazzi e come ogni generazione ci sono quelli eccellenti, quelli bravi e quelli meno bravi.
E chi sono per te le eccellenze di oggi a livello locale? Fai dei nomi.
Se proprio devo fare dei nomi ti dico che mi piacciono Clementino, già di una generazione posteriore alla mia e Peste Mc. Ma tra le eccellenze sono compresi tutti i ragazzi che ci mettono passione e cognizione di causa nel fare la propria musica, non tralasciando una dose massiccia di contestazione.
All’epoca de La Famiglia eravate l’emblema della contestazione. Quali i cambiamenti in generale da allora? E quelli per Paura?
A quei tempi eravamo visti come gli alieni. Quando andavamo in giro con i pantaloni larghi ed i cappellini girati al contrario, ricordo che ci guardavano davvero come se fossimo esseri non appartenenti a questa terra. Il nostro look anticonformista insomma creava già una forte forma di contestazione. C’era una differenziazione tra noi ed il resto del mondo individuabile immediatamente proprio a livello di impatto visivo, percettivo. Oggi, i giovani vestono per la maggior parte con un’influenza hip hop e, magari, andare contro corrente significa indossare il maglioncino e la camicia, come me in questo momento. (Ride) Il rap, comunque, è necessariamente fonte di contestazione perché nasce da un sentimento di rivalsa, per dare voce al popolo. Ma essendo oggi un genere di moda, non tutti sfruttano il suo punto di forza: la denuncia. Quindi, passano messaggi stupidi. Io, invece, ho sempre avuto una visione molto personale del rap. Perciò mi ritrovo a parlare delle mie problematiche, di quelle che affrontano le persone che mi sono vicine o i miei amici, nel luogo in cui vivo e nel mio background.
In tutti questi anni non hai mai lasciato l’agro-nolano, luogo in cui vivi e in cui hai cominciato come MC…
Si, sono assolutamente legato alla mia terra nolana. A differenza di tanti colleghi che hanno preferito trasferirsi a Milano per abitarci e lavorarci, io non lo farei mai. Perché mai? Ritengo che proprio gli artisti debbano essere i più attaccati all’ambiente in cui vivono, debbano respirare costantemente l’aria da cui provengono per poter raccontare e per poter farsi voce dei propri concittadini. Nola che affronta la tragica problematica della Terra dei Fuochi, città vicina a paesi ad altissima concentrazione camorristica, ha bisogno inevitabilmente del suo humus o substrato musicale per non crollare e potersi risollevare. Ma ha bisogno anche del suo humus culinario. (Ridiamo)
Vista la tua fama ai fornelli, per concludere lasciaci una tua ricetta speciale.
Paccheri di Gragnano con zucca, gamberi e rucola: si soffrigge l’aglio fino a rosolarlo. Poi lo si toglie e si fa cuocere la zucca a fettine sottili in modo che in parte si spappoli. Si sbriciola un amaretto e lo si aggiunge alla zucca. Dopo una decina di minuti si aggiungono i gamberi. A fine cottura dei gamberi, si aggiunge parte della rucola. Infine si condiscono i paccheri guarnendoli con un pò di rucola a crudo. Metà della rucola va cotta e metà no… E il piatto è pronto!
Eugenia Conti